Di solito, le settimane che precedono l’arrivo della piena estate sono quelle dove molte azienda hanno bisogno di personale. E a muoversi non è solo il settore del turismo. Per esempio – come si può leggere nelle pagine che seguono – le opportunità non mancano anche nella grande distribuzione, nella sicurezza e persino nello spettacolo (cinema, televisione) che, soprattutto a Roma, sta vivendo una vera e propria stagione d’oro.
In più, si fa ancora in tempo a iscriversi ai nastri di partenza dei concorsi banditi dal Comune di Roma per trovare 800 vigili urbani e 60 funzionari economico-finanziari da assumere a tempo indeterminato.
All'interno di queste iniziative c’è però un problema. Le imprese che operano nell’industria dell’accoglienza (alberghi, ristoranti, stabilimenti) sono in difficoltà perché all’appello mancano fino a 400.000 figure, in particolare addetti ai piani, addetti alle pulizie, camerieri, cuochi, receptionist… Ma mancano anche autisti, carrellisti, contabili, elettricisti, magazzinieri, montatori, saldatori, tornitori, e così via.
Le ragioni sono diverse. Nel primo caso c’è di frequente poca trasparenza nei contratti che vengono proposti: vale a dire, molte ore di lavoro e stipendi che non corrispondono all’impegno. C’è chi non ha esitato a parlare di sfruttamento e di colloqui durante i quali si lascia capire che o si accettano quelle condizioni oppure arrivederci. Nel secondo caso, è la mancanza di formazione/preparazione a determinare il vuote delle professionalità di cui c’è necessità.
Temi non nuovi. Sui quali è intervenuto di recente Papa Francesco che – ricevendo il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni – ha detto che “le nuove generazioni sperimentano più di tutti una sensazione di precarietà… Difficoltà a trovare un lavoro, a mantenerlo, case dal costo proibitivo, affitti alle stelle e salari insufficienti… Il mercato libero, senza gli indispensabili correttivi, diventa selvaggio e produce situazioni di disuguaglianza sempre più gravi”.
Insomma, c’è ben altro rispetto all’accusa rivolta ai giovani di non volersi scollare dal divano perché tanto con i sussidi che provengono dallo Stato non vale la pena darsi da fare. È una narrazione che fa finta di non vedere la realtà: nell’ultimo decennio in Italia le retribuzioni sono diminuite (a differenza di quanto è accaduto negli altri Paesi europei) mentre nel frattempo non poche imprese hanno moltiplicato gli utili.
Chiedere una più equa ripartizione della ricchezza non è fare demagogia. Una maggiore giustizia retributiva può attenuare, se non risolvere, il rebus del personale che si cerca ma non si riesce a trovare.