L’industria dell’accoglienza respira a pieni polmoni. I dati sono lì a dimostrarlo, e anche le associazioni di categoria non nascondono la soddisfazione. Bene le prenotazioni negli alberghi, bene le presenze nei ristoranti, bene l’arrivo dei turisti nelle città d’arte, e non solo. Insomma, sono tornati i tempi di prima della pandemia e in prospettiva – con alcuni appuntamenti in calendario, come il Giubileo del 2025 – le cose dovrebbe andare ancora meglio. Tant’è vero, come abbiamo sottolineato più volte su “Lavoro Facile”, che le gradi catene dell’hotellerie hanno deciso di investire forte nel nostro Paese, e a Roma in particolare.
Tutto ciò significa anche posti di lavoro. In queste settimane, per esempio, si sono moltiplicate le ricerche di personale che fanno riferimento al comparto, e si andrà avanti così perché anche l’Enit, l’Ente che opera nella promozione dell’offerta turistica dell’Italia, ritiene che da oggi alla fine dell’anno gli arrivi potrebbero battere ogni record precedente. Infatti, rispetto agli anni pre-Covid, le presenze dovrebbero aumentare del 16,7% e le spese del 17,4%.
Fin qui tutto okay. I problemi cominciano proprio quando si affronta l capitolo delle assunzioni. Le aziende continuano a sostenere che non riescono a trovare un lavoratore su due, e che c’è il rischio di restare con un bel po’ di posizioni scoperte. Il tema non è nuovo ma adesso, con le attività che hanno recuperato lo slancio perduto, potrebbe provocare ricadute negative sul fronte della qualità dei servizi.
Uno studio recente ha acceso un faro sulle possibili cause di questo squilibrio. Gli stipendi dei giovani fino a 29 anni, già bassi, sono ulteriormente diminuiti, a differenza delle fasce d’età tra i 30 e i 49 anni e gli over 50, che hanno registrato tendenze altalenanti ma quasi mai in perdita secca.
In più, l’ultimo rapporto dell’Inapp, l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, ha messo in evidenza come dei nuovi contratti attivati, sette su dieci sono a tempo determinato e con modalità (tirocinio, apprendistato) che non corrispondono alla realtà delle mansioni, prefigurando una sorta di sfruttamento lavorativo.
Tra l'altro, con il decreto Milleproroghe, si è ampliata la durata massima dei contratti a termine allo scopo di favorire/mantenere l’occupazione, incontrando l’opposizione dei sindacati. Ivana Veronesi, segretaria confederale della Uil, ha detto: “Spesso i nostri giovani si formano moltissimo ma quando poi escono dalle università viene offerto loro un tirocinio a 300 euro”.
La ragione dei tanti posti scoperti è anche questa. Ecco perché la battaglia per il salario minimo è giusta, ma da sola non basta a tutelare i giovani alle prese con un mondo del lavoro che spesso gli è ostile. Chi avrà il coraggio di cambiare le carte in tavola?