1) L’acqua che manca e la rete colabrodo: ma di chi è la colpa? 2) Quanto guadagnano gli steward negli stadi 3) Addio alle mascherine e il Covid è tornato a colpire 4) La Germania, il lavoro e quei giovani apprendisti 5) Come si può riscattare la laurea e quanto costa? 6) Se vale la pena ricorrere al franchising
1) L’ACQUA CHE MANCA E LA RETE COLABRODO: MA DI CHI È LA COLPA?
L’allarme siccità ha riaperto drammaticamente il capitolo dello spreco d’acqua. E si è riscoperto che l’Italia è un colabrodo. Ma perché non si interviene mai per tempo? Continuiamo ad essere il Paese delle promesse che poi restano sulla carta nella speranza che la fortuna…
L’Unione europea ci sta dando un bel po’ di soldi ma se lassù qualcuno apre gli occhi su come li adoperiamo potrebbero chiuderci i rubinetti. Non è possibile trascinarci dietro sempre gli stessi problemi senza risolverne nessuno.
L’acqua è un bene primario e lo vediamo dalla crisi in cui siamo precipitati. Lo Stato ha già sborsato milioni di euro per soccorrere l’industria, gli agricoltori e gli allevatori.
Che rabbia: non era meglio spenderli per aggiustare la rete idrica e approntare bacini per raccogliere l’acqua piovana?
Cesare Rivolta - Per telefono da Roma
La siccità che ha colpito l’Italia è da record e chi se ne intende dice che dovremo abituarci. Abbiamo l’Africa a due passi e i grandi del mondo, che non vogliono correre ai ripari (anche se a parole sostengono il contrario), stanno facendo di tutto per aggravare la situazione.
Siamo in cammino verso il burrone. Quale pianeta lasceremo ai nostri figli?
Marta Chiarugi - Per e-mail da Firenze
Appena un paio di anni fa, l’Istat segnalava che la rete idrica disperdeva il 42% dell’acqua pari a 156 litri al giorno per abitante. Alla fine di giugno, il presidente del Consiglio, Mario Draghi, definendo l’emergenza la “più grave degli ultimi 70 anni”, ha ribadito la cattiva manutenzione dei bacini e della rete affidata ai concessionari con una perdita di acqua superiore al 30% (negli altri Paesi dell’Ue è tra il 5 e il 6%).
Si potrebbe dire che in 2 anni siamo passati da una dispersione del 42% al 30%, quindi un miglioramento c’è stato. In realtà, siamo comunque nel mezzo di una inefficienza clamorosa. Di chi è la responsabilità? Di chi non ha mai deciso investimenti per sistemare le infrastrutture molte delle quali hanno più di 40-50 anni di età: vale a dire gli Enti pubblici e privati che le hanno in gestione.
Adesso, il governo, come primo intervento, ha stanziato 10,9 milioni di euro per l’Emilia Romagna, 9 per la Lombardia, 7,6 per il Piemonte, 4,8 per il Veneto e 4,2 per il Friuli Venezia Giulia. In lista di attesa Lazio, Liguria, Toscana e Umbria.
Ha ragione Cesare Rivolta: sarebbe stato meglio impiegarli per ridurre le dispersioni.
2) QUANTO GUADAGNANO GLI STEWARD NEGLI STADI
Ho letto qualche giorno fa sulla vostra home page della ricerca di steward da parte di squadre che partecipano al campionato di calcio di serie A. Ho inviato il mio curriculum e ho pure effettuato un colloquio. Mi hanno detto che mi avrebbero chiamato in caso di necessità.
Il campionato comincerà tra breve ma ancora nessuno si è fatto vivo. Resto in fiduciosa attesa. Quello che vorrei sapere è quanto si può guadagnare e qual è il contratto di riferimento (se ce n’è uno)?
Roberto Visetti - Per telefono da Roma
Le società che operano nel calcio possono retribuire gli steward ricorrendo alle norme che regolano i rapporti di lavoro occasionale. La regolarizzazione passa attraverso l’apposita piattaforma informatica predisposta dall’Inps per questo tipo di prestazione.
In sostanza, chi è chiamato a svolgere l’attività di steward deve registrarsi sulla piattaforma “Prestazioni occasionali” (https://www.inps.it/news/steward-prestazioni-occasionali-negli-stadi-di-calcio) mentre le società, prima dello svolgimento della prestazione lavorativa, devono effettuare il versamento della provvista destinata a finanziare il compenso e i contributi previdenziali.
Il lavoro occasionale riguarda: 1) i giovani con meno di 25 anni di età se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado; 2) i disoccupati ai sensi dell’articolo 19 del decreto legislativo del 14 settembre 2015, numero 150; 3) i titolari di pensione di vecchiaia o invalidità; 4) i precettori di prestazioni integrative del salario, come il reddito di inclusione, o altre prestazioni di sostegno al reddito.
Finora la gestione degli steward è andata avanti spesso in maniera piuttosto disinvolta e con retribuzioni tra i 25 e gli 80 euro a partita.
3) ADDIO ALLE MASCHERINE E IL COVID È TORNATO A COLPIRE
Nel numero scorso, in questa stessa rubrica, è comparso un messaggio firmato da Nadine Colella nel quale si denunciava il fatto che più nessuno indossava le mascherine Ffp2. Da allora sono passati pochi giorni e la diffusione della variante Omicron ha subito una forte accelerazione.
Non riesco a capire perché ci si rifiuta di proteggersi. Eppure nelle farmacie sono tornate a formarsi le code per fare i tamponi e negli ospedali i ricoveri sono in forte aumento il che provoca scompensi ovunque.
Perché è stato dato il liberi tutti?
Marco T. - Per e-mail da Roma
In verità, il liberi tutti non è mai stato dato ma è vero che il superamento delle misure restrittive con il solo avvertimento di “fare attenzione” è sembrato ai più la fine del Covid. Tant’è che ormai ovunque sono rarissimi coloro che ancora indossano le Ffp2.
Le prossime settimane ci diranno se si è stati troppo disinvolti contando sul senso di responsabilità degli italiani. Tra l’altro, nei luoghi di lavoro gli assenti perché contagiati stanno creando crescenti problemi di operatività.
4) LA GERMANIA, IL LAVORO E I QUEI GIOVANI APPRENDISTI
Questo imverno sono andato in Germania, a Berlino, e ho trovato subito lavoro in un ristorante. Ci sono rimasto un paio di mesi e poi sono rientrato in Italia perché quest’anno devo laurearmi. Lassù non è il Bengodi: ti chiedono serietà e professionalità ma anche loro sono seri e professionali.
Non mi ha fatto piacere la poca considerazione che in certi ambienti c’è nei confronti degli italiani e degli spagnoli. Però il sistema funziona e, soprattutto i giovani, hanno molte agevolazioni per quanto riguarda la ricerca di un lavoro. Peccato per la lingua che a me risulta particolarmente difficile.
Roberto Fazi - Per e-mail da Frosinone
È vero: il sistema funziona grazie anche a un programma di riforme avviato dagli ultimi cancellieri. Ed è anche vero che intorno ai giovani si è costruito molto: per esempio, l’apprendistato è una cosa seria così come il rapporto tra scuola e lavoro. Tant’è che più dell’80% degli apprendisti non solo viene confermato ma entra a pieno titolo nella aziende dove si è specializzato.
5) COME SI PUÒ RISCATTARE LA LAUREA E QUANTO COSTA?
La laurea si può ancora riscattare? Sto pensando di andare in pensione e a me farebbe comodo. Sono convinto che la cosa sia possibile ma in un momento in cui molto viene rimesso in discussione vorrei avere qualche certezza in più.
Marco Gasperini - Per telefono da Roma
Sì, il riscatto della laurea è possibile, naturalmente se si è conseguito il titolo di studio. Come si può leggere nel sito dell’Inps (https://www.inps.it/NuovoportaleINPS/default.aspx?itemdir=50145&lang=IT), si possono riscattare: i diplomi universitari (corsi di durata non inferiore a 2 anni e non superiore a 3), i diplomi di laurea (corsi di durata non inferiore a 4 anni e non superiore a 6), i dottorati di ricerca regolati dalla legge, i titoli accademici introdotti dal decreto n. 509 del 3 novembre 1999.
Per ciò che si riferisce ai diplomi rilasciati dagli Istituti di Alta Formazione Artistica e Musicale sono ammessi: il diploma accademico di primo livello, il diploma accademico di secondo livello, il diploma di specializzazione, il diploma accademico di formazione e ricerca.
Il riscatto può riguardare tutto il periodo o singoli periodi. Sono esclusi i periodi di iscrizione fuori corso e i periodi già coperti da contribuzione obbligatoria o figurativa.
Ciò che occorre fare è calcolare con precisione l’onere del riscatto – cioè quanto si deve pagare per cumulare la laurea con l’anzianità di lavoro – perché possono saltare fuori cifre piuttosto consistenti. Il contributo può essere versato in un’unica soluzione oppure in rate mensili senza interessi.
6) SE VALE LA PENA RICORRERE AL FRANCHISING
Sono intenzionato a mettermi in proprio ma le notizie che arrivano dal fronte del commercio non mi sembrano particolarmente incoraggianti. Sto pensando di ricorrere alla formula del franchising che, da quello che ho potuto capire, lascerebbe meno scoperti i nuovi imprenditori. Tuttavia i dubbi permangono. Che cosa mi consigliate?
Loris Annichiarico - Per telefono da Roma
Nelle grandi città sono molti i negozi costretti a chiudere, tanto che a Roma alcune strade non sembrano più le stesse: saracinesche abbassate e luci spente. Di mezzo ci sono senz’altro la pandemia, la guerra in Ucraina e la conseguente crisi dei consumi, ma spesso c’è anche il forte rialzo degli affitti che gli artigiani e le piccole strutture non ce la fanno a pagare. Il franchising può essere una risposta a patto di non dare per scontato la riuscita dell’impegno. Nel commercio non basta la volontà: ci sono altri fattori che vanno ponderati con cura compresa la predisposizione personale verso un determinato settore.
Il franchising può essere d’aiuto. Le aziende proprietarie del marchio hanno generalmente alle spalle una buona esperienza e sanno come, dove e che cosa vale la pena fare. Quindi può essere una soluzione. A patto di avere le idee chiare.
L’insediamento preferito è all’interno dei centri commerciali che, se assicura buoni guadagni, richiede però investimenti maggiori rispetto ad altre location. Comunque, se non si ha una grande esperienza e ci si vuole affacciare per la prima volta nel mondo del commercio, il ricorso al franchising può essere valutato con attenzione.